Dall'8 al 19 febbraio
Dal martedì al venerdì h 21 – sabato h 19 – domenica h 17
---
liberamente ispirato a La storia di Elsa Morante, edito in Italia da Giulio Einaudi Editore
By arrangement with The Italian Literary Agency
drammaturgia Marco Archetti
regia Fausto Cabra
con Franca Penone, Alberto Onofrietti, Francesco Sferrazza Papa
scene e costumi Roberta Monopoli
drammaturgia del suono Mimosa Campironi
luci Gianluca Breda, Giacomo Brambilla
video Giulio Cavallini
regista assistente Silvia Quarantini
consulenza movimenti scenici Marco Angelilli
produzione Centro Teatrale Bresciano, La Fabbrica dell’Attore-teatro Vascello
Durata 1 h e 50’
---
L’idea di fare uno spettacolo su questo capolavoro è nata qualche tempo fa, quando feci una domanda a mio padre “Qual è il tuo romanzo preferito?” lui rispose senza titubanza alcuna “La Storia di Elsa Morante “ e mi trovò assolutamente d’accordo, poi aggiunse “È sottovalutato, dovrebbe essere nelle scuole accanto ai Promessi Sposi, è il nostro Fratelli Karamazov”.
Iniziai così a rileggere La Storia e più la attraversavo più mi rendevo conto quanto fosse fondamentale oggi tornare a riaffondare le radici della nostra identità proprio in quel periodo storico (gli anni tra il 1942 e il 1947) e in quella umanità ferita.
Durante la rilettura rimasi colpito da come fosse molto più vitale di quanto la ricordassi.
A vent’anni l’avevo vissuto come un grandissimo romanzo cupo, violento, profondamente triste, anche irritante nel suo non prendere parte alle ideologie, e incredibilmente commovente, ora, rileggendolo, mi colpivano gli squarci di comicità, di leggerezza, della “vita nonostante tutto”, del “tutto è uno scherzo” cinguettato dalla natura. L’opera mi si apriva davanti come un mondo pieno di forza vitale, sogni, animali e resistenze a suon di risatine e innamoramenti. La cosa che mi ha impressionato di più in questa seconda lettura è stata che quegli esseri umani erano vivi, nel senso pieno e assoluto del termine. L’orrore c’era tutto come lo ricordavo, la commozione pure, forse anche di più, ma mi sorprendeva quella sotto- trama (o trama principale?) che potrei sintetizzare con le parole del giovane Nino: “Loro nun lo sanno, a ma’, quant’è bella la vita”. L’avevo lasciato a 20 anni come un romanzo pieno di morte, lo ritrovavo ora come un romanzo totale, pieno anche di vita (di cui la morte è parte essenziale).
E così ci è venuta (in complicità con Marco Archetti e Franca Penone) una voglia matta di condividerlo, di attraversarlo con il pubblico, e di riscoprire la vicenda di Ida, Nino e del piccolo Useppe. “La storia“, per noi, è un testo necessario non solo perché ci impone una riflessione sull’orrore – nello specifico, quello nazi fascista – ma perché lo fa in modo organico, senza separarlo dal suo contrario, senza totemizzarlo, senza estrometterlo dalle sue stesse implicazioni, anzi, lasciandogli tutta la sua forza terribile e ambigua; lo fa trattenendo nel testo, come in una rete a strascico, reperti di segno opposto, raccontando così quanto la vita riesca ad essere complessa e la Storia sia, al tempo stesso, forza motrice e forza distruttrice. Questa visione profonda della materia vitale – incardinata e non avulsa – è il dato più fortemente politico di questo che è uno dei romanzi tra i più significativi del Novecento italiano, che ha il coraggio di celebrare la vita quando racconta la morte, e di celebrare la morte quando racconta la vita. Questo impone naturalmente che anche la nostra messa in scena dovrà avere al centro la vita, il “qui e ora”, la massima “presenza” e la minor dose possibile di “rappresentazione” o “virtuosismo”. La vita si propaga per contagio. Solo ciò che è vivo suscita altra vita, e solo così il contagio potrà oltrepassare la ribalta. Questa sarà appunto la nostra sfida: dare più vita possibile al sommo capolavoro della Morante, con la massima onestà, esposizione, delicatezza e umanità.